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All'annunzio fatale la mia anima riconoscente va a quel lontano giorno primaverile quando conobbi nel suo studio tra le sue opere Giovanni Costa.
Sembra che la vita sia regolata da misteriosi eventi, da incontri e rivelazioni impreviste che d'un tratto ci additano una nova via, qualche cosa insomma verso la quale eravamo attratti inconsciamente e che per caso diviene realtà. Alcuni anni prima nella lontana Bologna la mia anima giovanile s'era commossa dinanzi all'opera di Alfredo Ricci che la morte aveva trasfigurato. E il caso a Roma mi aveva messo vicino ad Alessandro Morani, l'amico e l'erede del giovine scomparso, e poco dopo inaspettatamente avevo conosciuto il loro maestro Giovanni Costa. La mia giovinezza irrequieta, piena di aspirazioni confuse, di tendenze varie e di predilezioni instabili parve allora toccasse la via sicura: in quel primo giorno (ricordo tutto nettamènte) Giovanni Costa mi apparve come un Maestro; alle mie domande varie e ansiose egli aveva preso la tavolozza e mi aveva mostrato semplicemente quello che per lui era il risultato di molti anni di studio e di ricerche.
In quel modo, io penso, doveva svolgersi la vita nelle antiche botteghe, quando al giovine di tre lustri il vecchio maestro svelava in breve tempo tutto quello che la sua lunga vita di lavoro gli aveva insegnato. Noi sappiamo che l'Arte è qualche cosa che non si può imparare se natura nol concede e ci disgusta la schiera degli imitatori che altro non conservano del maestro se non l'esteriorità, la maniera: ma sappiamo pure che in mezzo agli impotenti emerse alcuna volta la forza creatrice di un genio che ebbe dinanzi tutta la vita per sovrapporre le sue conquiste a quelle del maestro. Nel Rinascimento è un'ascendere prodigioso da maestro a discepolo: da Giovanni Bellini a Gíorgione o dal Verrocchio a Leonardo.
Oggi che la tradizione è rotta ciascun artista sente che la sua vita dovrebbe cominciare là dove finisce, che per raggiungere una conquista gli è necessaria una dura fatica spesso vana di ricerche e di tentativi, ed e per questo che egli si arresta nella breve vita solo alla ricerca e alla preparazione.
Grande fu per questo allora il mio entusiasmo per l'insegnamento di Giovanni Costa e grande beneficio ne venne a molti giovini, quando tra noi sembrava abolita ogni tradizione tecnica e la pittura era tenuta come una grande esercitazione ginnastica, quando da noi si seguiva la superficialità spnola ed erano chiamati pittori di paesaggio solo quelli che sapevano rappresentare con perfetta illusione e con verità un brano qualunque di natura. Quando in Francia sorge la scuola detta del 30, che è una derivazione di Turner e Constable, in Italia avemmo due grandi pittori che impressionati dal grande movimento seguirono quella nuova via senza sacrificare la loro personalità, e questi due pittori sono Antonio Fontanesi e Giovanni Costa. Essi veramente ebbero una visione personale delle cose e furono creatori di opete che ci rivelano le loro anime innamorate, tristi e dolci, piene di venerazione.
Alcune loro opere armoniose come la Solitùdine o il Risveglio appaiono rivelazione di un mondo nuovo, dove la nostra anima ama riposare per breve sosta nell'affaticato cammino. «Amare», ripeteva spesso il maestro, e questo amore è visibile in tutta la sua opera; amorosamente la sua mano per lunghi anni dava vita alle acque, ai monti, ai fiori, alle nuvole e alle rocce. nei momenti più belli; nell'ora del tramonto o nella dolcezza delle luci antelucane.
Giovanni Costa, che pur ebbe molti onori in Inghilterra, visse in Italia solitario e disdegnoso vedendo intorno a sè emergere la folla dei mediocri sentendo ornai vana ogni speranza di salvezza. E pure combattè sempre per l'arte con impeto giovanile fondò socetà, promosse esposizioni scrisse critiche, ammaestrò e discusse infaticabile con l'ardore di un sacerdote dedicando intera la sua vita al suo grande amore.
Ora il maestro si è spento placidamente nella sua casetta a Bocca d'Arno al cospetto delle cose amate, il Tirreno, l'Arno, le Alpi Apuane.
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